Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 31 dicembre 2011

Te Deum Laudamus. E una piccola chiosa di fine anno.

Oltre a benedire e ringraziare il Signore per il percorso fatto fin qui, inserendo il Te Deum per una condivisione anche nella preghiera, trascrivo l'intervento di una lettrice che condensa i nostri sentimenti e le nostre speranze, augurando a tutti un felice 2012, nel Signore.




Gli scaltri e i prepotenti nel mondo come nella Chiesa avanzano indisturbati. Il CVII ha aperto le porte ai laici. Però c'è chi ha inventato un modo per radunarli e attivarli, un metodo fortissimo mutuato dalla chiesa e riempito di mille storpiature.

Se le forze tradizioniste sapessero farsi altrettanto attive! Se i gruppi legati nella difesa della Tradizione, già organizzati in ordine sparso attorno ad un altare, si unissero per promuovere una via pastorale analoga a quella dei movimenti, ma ortodossa quanto a dottrina e liturgia, non sarebbe più necessario gridare ‘al lupo al lupo’, perché movimentismi, cattivi maestri e falsi profeti mostrerebbero, nel confronto, le loro fragilità e le incoerenze dei loro contenuti. Perché Tradizione non è solo la Messa in latino, è conoscere amare e servire il Signore attraverso la sapienza millenaria della Chiesa di Cristo Signore. E’ esperienza di Dio quotidiana, consumata nella fatica di vivere, condivisa nella comunione spirituale con altri fratelli di fede. 

Questa è la mia speranza per l’anno che verrà. Che si esca dalle acque stagnanti dei teoremi su cosa è e dovrebbe essere la chiesa, e chi ne ha l'autorevolezza e le competenze necessarie, cominci finalmente a ricostruirla col cemento armato di Dio e della Sua volontà e della Sua forza e nel fuoco del dogma siano purificati tutti gli sviamenti e le ambiguità.

venerdì 30 dicembre 2011

Brunero Gherardini, “ANGLICANORUM CŒTIBUS”: Conversione o Trasloco? Osservazioni postume.

Ricevo con gratitudine da parte di Mons. Gherardini e pubblico con grande interesse il seguente documento, inserendo, dal sito InternEtica, una serie di link utili ad una più proficua consultazione.

Con un po’ di ritardo, consigliato dall’opportunità di non dar corpo alle prime impressioni, decido di metter a fuoco alcune zone d’ombra, e relativi problemi, della Costituzione Apostolica “Anglicanorum cœtibus”.(1)

Oggi le zone d’ombra si sono sfumate, ma i problemi son rimasti: segno che non si trattava soltanto di prime impressioni. La conversione al cattolicesimo, quando di vera conversione si tratta, non lascia indifferenti i buoni cattolici, nei quali infonde una comprensibile gioia e dal cuore dei quali sprigiona la più viva gratitudine a Dio e sensi di fraterna accoglienza ai convertiti. Purtroppo, nella Costituzione in oggetto e nel caso che intende risolvere e regolamentare, gli elementi dottrinali e pratici della conversione son quasi del tutto assenti.

Com’è ormai risaputo, la Costituzione tutela e disciplina il passaggio – la cui notizia scosse alcuni anni or sono l’opinione pubblica ed i mezzi della comunicazione sociale, ma alla quale oggi più nessuno sembra interessato – d’intere comunità dall’anglicanesimo al cattolicesimo. Tale passaggio ha le sue premesse, anche se non esclusivamente, nell’aperta ribellione d’oltre 200 vescovi della comunione anglicana, i quali disertarono la “Conferenza di Lambeth” riunitasi a Canterbury dal 16 luglio al 3 agosto 2006, a motivo dell’avvenuta ordinazione d’un vescovo dichiaratamente gay (Gene Robinson) e della predisposizione di riti speciali per la benedizione di coppie omosessuali. A Lambeth il vuoto dei “ribelli” non poteva certamente esser colmato dalla presenza di ben tre cardinali cattolici (W. Kasper, I. Dias e Murphy O’Connor), i quali avevan semplicemente e cortesemente risposto ad un invito ufficiale. E’ tuttavia probabile che la loro presenza abbia in qualche misura concorso a creare l’atmosfera d’un incontro in famiglia, con soddisfazione d’alcuni e disappunto d’altri. Certo è che l’assenza dei “ribelli” e le stesse discussioni di quei giorni misero in risalto una situazione di gravissima crisi all’interno della comunione anglicana, già scossa sia dal sacerdozio femminile e da un suo possibile accesso all’episcopato, sia dall’urto tra anglicani tradizionalisti e liberali. Non fa, perciò, meraviglia che non pochi anglicani abbian allora considerato il passaggio alla Chiesa di Roma come la soluzione migliore.

I ripetuti incontri dell’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, con il Santo Padre son certamente rapportabili alla crisi predetta, alle nuove difficoltà di dialogo e alla crescente domanda d’ingresso nella Chiesa cattolica. Nell’incontro del 23 novembre 2006, una “Dichiarazione comune” sottolineò, fra l’altro, “l’emergere di fattori ecclesiologici ed etici, che rendono più difficile ed arduo il cammino” comune. L’allusione alla crisi anglicana ed alle difficoltà pressoché insormontabili che alcune decisioni anglicane avevan creato all’interlocutore cattolico è evidente. Due anni dopo, sia pur non ricorrendo ad una nuova “Dichiarazione comune”, i cattolici da una parte e non pochi anglicani dall’altra vennero ancora scossi da un avvenimento inaudito: l’approvazione da parte del Sinodo Anglicano Inglese, in data 7 luglio 2008, di possibili candidature femminili all’episcopato. La reazione anglicana si concretò nell’aperta decisione di oltre 1300 pastori di passar al cattolicesimo; quella cattolica fu espressa dal Santo Padre, il 12 luglio 2008, in termini di prudenza e di rispetto, con l’auspicio che s’evitassero nuove scissioni e s’escogitasse una soluzione, attenta alle esigenze emergenti e fedele all’Evangelo.

Queste, in estrema sintesi, le premesse da tener presenti per leggere capir e valutare la Costituzione Apostolica “Anglicanorum cœtibus”.

Non tutte le sue affermazioni posson esser, qui, prese in esame: una breve nota, qual è quella che sto scrivendo, non è un’analisi critica. Ma anche questa breve nota intende esprimere valutazioni che discendono necessariamente da un’analisi pensata, se pur non ancora redatta. La Costituzione s’apre con affermazioni relative alla Chiesa, al suo mistero e alla sua struttura. Affermazioni sintetiche ma valide e quindi lodevoli. Non manca, peraltro, qualche motivo di perplessità, p. es. il non specificato concetto di “comunione visibile e piena”; l’unità allargata, introdotta dal discusso “subsistit in” di LG 8; l’allusione assolutamente acritica alla tradizione anglicana, ch’è quella d’una chiesa eterodossa e scismatica, la quale non può affatto “incorporarsi”, in quanto tale, nella Chiesa cattolica e magari con l’intento d’arricchirla.

 Assenza di senso critico è anche nelle parole relative alla questione di fondo. Si parla, infatti, della “petizione ripetuta ed insistente” di non pochi anglicani “ d’esser ricevuti (to be received) nella piena comunione cattolica individualmente ed in gruppo (corporately)”; poco dopo s’accenna sia al loro “desiderio d’entrare (to enter)” nella detta comunione, sia a coloro che vi “entrano (entering)”. In casi del genere c’è una parola sola da usare ed alla quale riferirsi: conversione. Non “si entra” né “si è ricevuti” se non sulla base d’un radicale cambiamento di rotta (metànoia), testimoniato da una pubblica abiura degli errori fin a quel momento condivisi con eretici e scismatici(2), o contenuto almeno implicitamente nell’atteggiamento del soggetto qualora, per gravi ed impellenti motivi, cioè in condizioni d’estrema necessità, si trovi impedito di star alla prassi di norma. Solo sulla base della metànoia, cioè del “peccatore convertito, si farà” un’immensa “festa (gioia) in cielo” (Lc 15,7) e ci sarà per lui l’abbraccio del padre commosso, la veste più bella, l’anello al dito, i sandali ai piedi ed il tripudio dell’intera famiglia (cf Lc 15,22-24). La Costituzione, però, non solo è reticente, come ho sopra osservato, sulla conversione, ma consente agli anglicani “ricevuti” dalla Chiesa cattolica il mantenimento della loro tradizione (“…the liturgical books proper to the Anglican tradition…so as to maintain the liturgical, spiritual and pastoral traditions of the Anglican Communion”), come se si trattasse di puri e semplici ospiti in casa cattolica e non di convertiti.

Perché non si parli di conversione non è un mistero: l’ecumenismo non lo permette affatto. Da quando O. Cullmann, in perfetta sintonia con il Movimento Mondiale delle Chiese, sentenziò che l’ecumenismo non esige da nessuno il proprio “sacrificium fidei”, ognuno dovrà restare quello che è – cattolico, luterano, calvinista, anglicano e via di questo passo – pur facendo ecumenismo. L’eventuale conversione al cattolicesimo sconfesserebbe infatti la “ratio Ecclesiae” delle varie denominazioni cristiane acattoliche. Il card. Kasper n’era tanto convinto che, fin dall’inizio delle trattative, promise agli anglicani ogni possibile aiuto cattolico, purché essi non abbandonassero la loro religione.

Qualche tempo dopo(3), il medesimo porporato ricordò che mai aveva esortato qualcuno a convertirsi e che, essendo l’entrata d’un gruppo d’anglicani nella Chiesa cattolica una loro libera decisione, la cosa né dipendeva da lui, né poteva da lui o da altri esser impedita. Perché il mantenimento della “tradizione anglicana” non sembri una promessa di marinaio o una frase di circostanza, generica, priva riferimenti oggettivi, la Costituzione s’affretta a segnalar in concreto gli strumenti che dovranno salvaguardarla.

Il primo e di gran lunga il più importante è l’istituzione d’ “Ordinariati Personali(4)  per gli Anglicani che entreranno nella piena comunione con la Chiesa cattolica”; “ipso iure” vien assicurata a tali Ordinariati, da considerare giuridicamente come vere diocesi, la personalità pubblica e giuridica. Ad essi è demandata la facoltà di:
  • seguire, volendo, la propria liturgia; 
  • aprire propri seminari e stabilirne i programmi; mantenere nello stato matrimoniale preti e vescovi ammogliati; 
  • chieder al Papa, dopo un attento esame dei singoli casi, l’ammissione al presbiterato di candidati uxorati; 
  • erigere parrocchie personali d’accordo con la Santa Sede ed il vescovo del luogo; 
  • accoglier Istituti di vita consacrata di provenienza anglicana, o istituirne di nuovi; 
  • nominar un Consiglio direttivo d’almeno sei membri, con funzioni paragonabili a quelle dei consigli presbiterali cattolici; 
  • presentar al Papa una terna di candidati, scelti dal detto Consiglio direttivo, per la nomina d’un Ordinario. 
Non ci vuol una grand’intelligenza per capire l’enorme confusione che verrà inevitabilmente determinata da tali facoltà, il cui compito sembra quello di legittimar un assurdo cattolicesimo anglicano o un non meno assurdo anglicanesimo cattolico: assurdo, perché la presenza e la salvaguardia della tradizione anglicana in casa cattolica, lungi da giustificazioni canoniche e teologiche, è il trionfo della logica (?) ecumenica e l’affossamento non solo della vera ininterrotta Tradizione cattolica, ma anche della retta ragione: le realtà contraddittorie né convivono né s’amalgamano, si rifiutan a vicenda. Si pensi allo scandalo che provocherà tra i fedeli cattolici la “relaxatio” del celibato ecclesiastico. Ma anche al possibile insorgere d’una loro diretta domanda di “relaxatio” per impedir il ricorso a “due pesi e due misure” . E ciò, senza contare le divergenze sul piano dottrinale. E’ vero che oggi non c’è più un anglicano pronto a sottoscrivere le invettive antiromane d’un Blakeney o d’un Palmer ; anche sotto questi ponti dell’acqua n’è passata parecchia. Eppure è tuttora abissale la divergenza fra la comunione anglicana e quella cattolica:
  • sul Primato di Pietro e dei suoi successori; 
  • sull’infallibilità del Romano Pontefice; 
  • sulle indulgenze; 
  • su alcuni aspetti della mariologia e su alcuni privilegi della Vergine Santa. 
A quanto sopra occorre aggiungere “la ri-definizione dell’ufficio sacerdotale” in base al quale “il prete anglicano è un presbitero, ma non un prete sacrificante... La Chiesa anglicana, dal 1550, non intese più ordinare dei preti in senso romano e ciò dovrebb’esser candidamente ammesso da tutti”. Ma c’è di più: gli attuali sviluppi sembran riproporre quella Via media nella quale il grande Newman vedeva l’Anglicanesimo come qualche cosa a metà strada tra il cattolicesimo e la riforma luterana, una strada però da percorrere interamente per tornar in seno alla vera Chiesa, sostenendo contro il protestantesimo l’irrinunciabilità alla Tradizione e contro Roma la necessità di rinunciare a tutte le innovazioni e corruzioni medievali. Nessun dubbio sulla sincerità della proposta relativa alla Via media, nonché a quella riguardante la Branch Theory come passaggi obbligati per il ritorno degli anglicani a Roma, rimanendo nel pieno possesso delle loro peculiarità anglicane. Un bel sogno, ben presto cancellato da Leone XIII con la Bolla “Apostolicæ curæ et caritatis”, del 13 sett. 1896. Oggi quel sogno, almeno in alcuni dei suoi contenuti, ricompare nei rapporti tra anglicani e cattolici. È lecito chiedersi se, sul piano sostanziale, sia cambiato qualcosa e che cosa dal 1896 ad oggi.

A breve distanza dalla beatificazione d’un grande convertito dall’anglicanesimo, l’appena citato John Henry Newman, riproduco alcuni brani d’una sua pagina sferzante quanto illuminante: “(La Chiesa anglicana) è un aspetto dello Stato, una forma del governo civile. Non è responsabile di nulla… La ragione per la quale non ha una sua identità…è la stessa per la quale la presente legislatura e le corti non discendono dalle precedenti... Il suo Prayer Book è un atto del parlamento di due secoli or sono, le sue cattedrali ed i suoi capitoli son semplici rimasugli di cattolicesimo... La stessa esistenza della Chiesa nazionale è un atto del Parlamento. Se lo Stato l’appoggia, resisterà all’eresia; ma non se lo Stato l’abbandona... Come la Nazione può cambiar la sua politica, così potrà cambiare la sua posizione religiosa; quelle medesime cause che introdussero il Bill della Riforma (1832), o la libertà del commercio, potranno interferire anche sull’ortodossia e la dottrina”. È la fotografia d’una Chiesa antitetica a quella cattolica. Guardando la fotografia nel suo insieme e nei suoi particolari, nasce la domanda: E’ possibile, e se possibile è anche giusto decretare la convivenza della comunione anglicana con quella cattolica?
B. Gherardini
NOTE
1) 4 nov. 2009 – http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/apost_constitutions/documents/hf_ben-xvi_apc_20091104_anglicanorum-coetibus_it.html
2) Cf VERMEERSCH A. “Periodica de re morali et canonica” 1929, 143.
3) “L’Osservatore Romano” 15 nov. 2009, p. 1.
4) Si tratta d’una figura giuridica non espressamente prevista dal CJC (a meno che non sia equiparata a quanto dispongono i can. 132/3 e 134/1 e 42), d’istituzione papale, e costituzionalmente vicina alla “Prelatura personale” come quella dell’Opus Dei, nonché ai vicariati o ordinariati castrensi.
 5) Qualcuno s’è affrettato a dire che non si tratta d’alcuna “relaxatio” e che “la Costituzione non altera il celibato nella Chiesa latina” (ZENIT 13/11/2009); certamente, la “relaxatio” non è voluta dalla Costituzione, ma questa non potrà in alcun modo impedire il confronto e lo sconcerto dei “due pesi e due misure”
6) BLAKENEY R.P., Manual of the Romish (?) Controversy; being a complete refutation of the Creed of Pope Pius IX, Londra 1901 e Popery in its social aspect; being a complete exposure of the immorality and intollerance of Romanism, Londra 1902.
7) PALMER J.R., Truth or Error, Londra 1907.
8) HARRISON D.E W., The Book of Common Prayer with the additions and deviations proposed in 1928, Londra 1946, p.123.
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Vedi anche:
[Istituito il primo Ordinariato cattolico]
[Aggiornamenti di fine luglio 2010]
[Rientrano gli Anglicani del Canada]
[Rientrano gli Anglicani della Forward in Faith Australia]
[Dichiarazione congiunta degli Arcivescovi di Westminster e di Canterbury]
[Risposta del Primate della TAC (Traditional Anglican Communion)]
[Costituzione Apostolica Anglicanorum Coetibus]
[Dichiarazione comune 2006]

RealCatholicTV non può più qualificarsi "cattolica"?

Anche oggi, riprendo da un portale francese, Riposte Catholique, una notizia emblematica dell'aria che tira nelle cure vescovili non solo di casa nostra ma in tutto il mondo. Oltre alle segnalazioni di vescovi belgi, austriaci e francesi - è di ieri la segnalazione di Rorate Caeli sulle recenti dichiarazioni sul celibato ecclesiastico del Vescovo di Anversa -, che rilasciano dichiarazioni in evidente dissenso con gli insegnamenti cattolici e con le dichiarazioni dei Papi anche post-conciliari, dobbiamo registrare l'ennesimo episodio di discriminazione nei confronti di realtà che si fregiano di definirsi cattoliche. Nel caso di specie mi fido dell'attendibilità della fonte. E viene da chiedersi: cos'è, oggi, davvero “cattolico”?

Un caso sgradevolissimo e preoccupante è appena scoppiato nell'arcidiocesi di Détroit (Michigan) il cui ordinario, Mons. Allen Vigneron, non passa per essere un vescovo particolarmente “liberale” ma, al contrario, ha la reputazione di essere “conservatore” (nonostante il fatto che è di origine... francese). Riguarda Real Catholic TV, una televisione cattolica su Internet. Il 15 dicembre scorso, con la firma di Joe Kohn, direttore della comunicazione, l’arcidiocesi pubblicava il seguente comunicato sul suo sito ufficiale :
« La Chiesa incoraggia i fedeli cristiani a promuovere e a sostenere ogni sorta di iniziativa apostolica ma, tuttavia, vieta a qualunque di queste iniziative di rivendicare il nome “cattolico” senza il permesso dell'autorità ecclesiastica competente (vedi il canone 216 del Codice di Diritto canonico del 1983). Successivamente, l’arcidiocesi di Détroit è in contatto con M. Michael Voris ed il sostenitore mediatico di Real Catholic TV in ordine al loro uso esplicito del termine “cattolico” per identificare e promuovere le loro attività pubbliche diffuse dallo studio di Ferndale, Michigan. L’arcidiocesi ha informato M. Voris e Real Catholic TV, RealCatholicTV.com, che non li considera autorizzati ad utilizzare il termine “catholique” per identificare o promuovere le proprie attività pubbliche. Ogni domanda relativa al caso deve essere indirizzata. »
Il canone al quale egli fa riferimento, in effetti precisa :
« Tutti i fedeli, in quanto partecipano alla missione della Chiesa, hanno il diritto, secondo lo stato e la condizione di ciascuno, di promuovere o di sostenere l'attività apostolica anche con proprie iniziative; tuttavia nessuna iniziativa rivendichi per se stessa il nome di cattolica, senza il consenso dell'autorità ecclesiastica competente. »
In poche parole, questa dichiarazione del dipartimento della comunicazione dell’arcidiocesi di Détroit, vieta a Real Catholic TV di utilizzare il termine “cattolico”.

Questa dichiarazione è molto mal posta. L'interdizione deriva dal fatto che Real Catholic TV diffonde una dottrina non conforme all'ortodossia cattolica, oppure è stata emanata perché Real Catholic TV ha omesso di chiedere l'autorizzazione a qualificarsi come “cattolica” ? Inoltre, per una questione di così grande importanza – dichiarazione di “non cattolicità” d’un média che afferma di esserlo –, ci si aspetterebbe, quanto meno, una dichiarazione formale o informale dell’ordinario stesso, o del vicario generale, o della cancelleria della diocesi, ma non un comunicato quasi surrettizio di un « servizio di comunicazione » !

Prima osservazione : Si può, certamente, trovare Michael Voris un po' eccessivo nelle sue denunce appassionate, ma le sue denunce non si applicano precisamente a cattolici o comportamenti cattolici che si prendono delle libertà con la dottrina cattolica integrale. Si potrà, eventualmente, rimproverargli lo stile, ma di certo non la sua ortodossia. Decine di organizzazioni, associazioni, ospedali, politici e média si fregiano senza vergogna del qualificativo di“cattolico” anche quando sono eretici. Non ho constatato posizioni eretiche nei contenuti diffusi da Real Catholic TV da me conosciuti.

Seconda osservazione : la questione del « permesso dell'autorità ecclesiastica competente » è delicata, e il canone 216 è soggetto ad interpretazione : « l'autorità ecclesiastica competente » in ultima istanza può essere Roma in caso di procedura canonica. Certo, appartiene al vescovo territoriale, è suo diritto e suo dovere, giudicare la “cattolicità” di coloro che si riconoscono cattolici per il solo fatto di essere battezzati, i quali possono nei loro atti e dichiarazioni posti esplicitamente come cattolici, allontanarsi sensibilmente o assolutamente dalla dottrina cattolica.

Inoltre, e tecnicamente, se gli studi di Real Catholic TV si trovano nel territorio dell'arcidiocesi di Détroit, la sua sede sociale è situata in quello della diocesi di Fort Wayne-South Bend (Indiana). Il proprietario di Real Catholic TV non è Michael Voris – il quale non è che un salariato –, ma Marc Brammer, un cattolico residente in questa diocesi e il cui ordinario, Mons Kevin Rhoades, non ha, fino ad oggi, preteso da Real Catholic TV di abbandonare il qualificativo di “cattolica”.

Questo incidente avrà degli sviluppi. Noi lo seguiremo e si comprenderà che nel portale Riposte Catholique, vi prestiamo molta attenzione. Dopo la recente denuncia di giovani cattolici manifestanti in Francia contro gli spettacoli blasfemi e profanatori, per il fatto che non avevano ricevuto « mandato » dall'autorità ecclesiastica – una denuncia molto "oltre" a ciò che la Chiesa osserva dopo il concilio Vaticano II... –, c'è ragione di essere attenti!

giovedì 29 dicembre 2011

Il fallibile infallibile. L'analisi di Jean Madiran

Il Blog Summorum Pontificum riporta una interessante notazione su un articolo di Jean Madiran in ordine all'ormai famosa tesi di Ocariz. Lo traduco e lo pubblico, per condividerne le conclusioni che ci trovano in perfetta sintonia. È anche la riprova dell'interesse che questi dibattiti, non più eludibili, suscitano in tutto l'orbe cattolico


Su Présent di domani, Jean Madiran torna sull'articolo di Mons. Ocariz apparso su L’Osservatore romano del 2 dicembre scorso a cui risponde l’abbé Gleize in un articolo che apparirà sul Courrier de Rome e del quale si possono trovare degli estratti, come già segnalato sul sito DICI.

Jean Madiran mostra pertinentemente che a forza di non rispondere esplicitamente alle critiche indirizzate al Vaticano II – in ordine alle quali il Magistero dovrà pur pronunciarsi –, i teologi finiscono per entrare in una sorta di luogo-ipotetico. Che dice, in effetti, Mons. Ocariz ? Semplicemente (!) questo :
« Il fatto, che un atto di Magistero della Chiesa non sia garantito dal carìsma dell'infallibilità non significa che esso possa essere considerato come “fallibile”, nel senso che trasmetterebbe una “dottrina provvisoria” o ancora “opinioni autorizzate”. »
Senza rendersene conto, il prelato lancia così una nuova categoria : il fallibile infallibile o l'infallibile fallibile.
Come scrive Jean Madiran :
Egli tenta così d'istituire, per rinforzare ciò che evidentemente non è infallibile, la promozione d'una non-fallibilità  che sarebbe una sorta d'infallibilità relativa, surrettizia non ufficiale ma imperativa.
E conclude molto giustamente :
I due libri di Gherardini, la sua « Supplica al Santo Padre », e  quella che l'ha seguita, di una cinquantina di personalità italiane, « al Papa Benedetto XVI per un esame approfondito del Concilio ecumenico Vaticano II », tutto ciò, in margine alle richieste proprie alla FSSPX e finalmente nello stesso senso, esprime la persistenza di  un contenzioso che si è manifestato con ininterrotta insistenza da quarantacinque anni. Esso tende ad una reinterpretazione punto per punto dell'insieme delle novità del Vaticano II. In altre parole, quando sarà il momento, una sorta di Vaticano III dottrinale per un esame teologico del Vaticano II pastorale : la presentazione delle novità davanti ai criteri tradizionali del Magistero della Chiesa, per ottenere che siano eliminate le contestazioni, le divergenze, le opposizioni. Ma esse non potranno esserlo che da parte del Papa, domani o più tardi, con un concilio o senza.

martedì 27 dicembre 2011

Come salvare l'Europa col realismo della scolastica

Il Foglio del 23/12/2011 pubblica un articolo di Roberto de Mattei dal titolo: Come salvare l’Europa (non l’euro) col realismo della scolastica. Mi sembra una riflessione di fine d'anno sulla situazione attuale da prendere in considerazione.
Dal Medioevo alla “Scuola Austriaca”, una critica in nome della Tradizione alla moneta nata contro l'etica. È anche il tema proposto dal video qui riportato.

Idee chiare sul Magistero. Attualità della questione: Tradizione/Magistero

La Redazione della Rivista quindicinale antimodernista ‘sì sì no no’ (sisino@tiscali.it) ci ha concesso gentilmente di pubblicare in formato elettronico sul nostro sito quest’articolo, che apparirà in forma cartacea e con qualche aggiunta nel numero del 15 gennaio 2012 dell’omonima Rivista. Sperando di far chiarezza sul tema dei rapporti tra Tradizione e Magistero lo metto a disposizione dei nostri lettori.
Il documento è lungo e impegnativo, ma chiaro ed esaustivo e val la pena prenderne atto.


IDEE CHIARE SUL MAGISTERO

*Attualità della questione: Tradizione/Magistero
Recentemente sono apparsi articoli e libri, che, per difendere la Tradizione e la Chiesa, o hanno esagerato la portata del Magistero, facendone un Assoluto oppure lo hanno minimizzato e quasi annichilito, negandone la funzione di interpretare la Tradizione e la S. Scrittura. Onde evitare gli errori per eccesso (che assolutizza il Magistero) e per difetto (che minimizza la sua realtà) riassumiamo sull’argomento quanto ha scritto in passato[1]  e recentemente mons. BRUNERO GHERARDINI (vedi) e quanto si trova nei migliori manuali di ecclesiologia.
Occorre evitare la premessa erronea che fa del Magistero un Assoluto e non un ‘ente creato’, un Fine e non un mezzo, un Soggetto indipendente (absolutus = sciolto) da tutto e da tutti. Niente al mondo ha la dote dell’Assoluto. La Chiesa non fa eccezione, non la sua Tradizione, non il suo Magistero e neppure la Gerarchia, Papa compreso. Si tratta di realtà sublimi, ai vertici della scala di tutti i valori creaturali, ma sempre di realtà penultime, finite, create dipendenti da Dio, l’unica realtà ultima o assoluta, infinita ed increata. 

Sulla Tradizione la Chiesa esercita un discernimento che distingue l’autentico dal non autentico. Lo fa mediante uno strumento che è il Magistero. Il Magistero è un ‘servizio’, ma è anche un ‘compito’, un munus, appunto il munus docendi, che non può né deve sovrapporsi alla Chiesa, dalla quale e per la quale esso nasce ed opera. Dal punto di vista soggettivo, il Magistero coincide con la Chiesa docente Papa e Vescovi in unione col Papa. Dal punto di vista operativo, il Magistero è lo strumento mediante il quale viene svolta la funzione di proporre agli uomini la divina Rivelazione con autorità.

Troppo spesso, però, si fa di questo strumento un valore a sé (absolutus) e si fa appello ad esso per troncare sul nascere ogni discussione, come se il Magistero fosse al di sopra della Chiesa e come se davanti a sé non avesse la mole enorme della Tradizione da accoglier interpretare e ritrasmettere nella sua integrità e fedeltà. 

Il procedimento sbrigativo oggi invalso è più o meno il seguente: Cristo promise agli Apostoli, e quindi ai loro successori, vale a dire alla Chiesa docente, l’invio dello Spirito Santo e la sua assistenza per un esercizio nella verità del munus docendi e dunque l’errore è scongiurato in partenza, senza condizioni, le quali invece sono richieste e definite dal Concilio Vaticano I, come vedremo oltre. Un altro procedimento più che sbrigativo consiste nel negare al Magistero ogni munus docendi et interpretandi le due fonti della Rivelazione (Tradizione e S. Scrittura).

 * Il metodo della Sacra Teologia 

In Teologia innanzitutto si enuncia la “Tesi, per esempio “Il Papa è infallibile”. Poi si espone lo “Status Quaestionis, ossia il significato di ogni parola della Tesi esposta, nel caso nostro cosa significa ‘Papa’ e cosa si intende per ‘infallibilità’. Inoltre si trattano le varie ‘Opinioni’ e gli ‘Errori’ eventuali che sono sorti nel corso dei secoli a riguardo della Tesi. Quindi viene data una “Nota Teologica che determini il grado di certezza di cui gode la Tesi[2]. Infine si delucida teologicamente la Tesi alla luce della Dottrina della Chiesa (Simboli di Fede, la Tradizione, il Magistero ecclesiastico, la S. Scrittura, I Padri della Chiesa), e, per ultimo si approfondisce la Tesi speculativamente o se ne dà la “Ragione teologica” (“Fides queaerens intellectum”), tramite un sillogismo la cui premessa ‘minore’ va dimostrata con un altro sillogismo. 

Come si vede il metodo classico della Teologia dogmatica privilegia la dottrina della Chiesa, la quale attraverso il suo Magistero interpreta la Tradizione e la S. Scrittura. Perciò il primo elemento per provare la Tesi è il Magistero, poiché la Chiesa ha ricevuto da Cristo il mandato di insegnare e dare l’esatta interpretazione delle cose predicate da Lui, trasmesse agli Apostoli o messe per iscritto nei Libri Sacri. Quindi il Magistero si basa essenzialmente sulla S. Scrittura e la Tradizione apostolica per ottemperare il mandato conferito alla Chiesa da Cristo. La Rivelazione divina fu affidata all’interpretazione, alla custodia, alla diffusione e alla difesa del Magistero della Chiesa, che è fondata su Pietro e i suoi successori: i romani Pontefici. Tramite il Magistero ecclesiastico la Rivelazione viene trasmessa. Infatti il Magistero della Chiesa è lo strumento di cui Cristo si serve per trasmettere la sua Rivelazione inalterata, ogni giorno, sino alla fine del mondo. Attenzione! La Ragione teologica non fonda la Verità rivelata, che è oltre la ragione, ma ne sviscera la convenienza, ne tira le conclusioni, ne approfondisce il significato e confuta coloro che la impugnano.

DOPO IL CONCILIO VATICANO II la metodologia della Teologia dogmatica è cambiata, si parte dalla Scrittura, dalla quale si origina la Tesi. Il tutto “in lumine Fidei et sub Ecclesiae Magisterii ductu; alla luce della Fede e sotto la direzione del Magistero della Chiesa” (Optatam totius, § 16/a). Quindi anche col Concilio Vaticano II e dopo il Concilio ciò che garantisce la luce della Fede è la direzione del Magistero. Però mentre prima del Vaticano II la Scrittura veniva dopo il Magistero e alla luce del Magistero, a partire dal Vaticano II si è posto in secondo luogo il Magistero e in primo luogo la Scrittura ed inoltre si tende a far coincidere Tradizione e Magistero con la Scrittura, surclassando la dottrina della “due Fonti” della Rivelazione (Tradizione e Scrittura), per ridurre tutto alla Scrittura che contiene Tradizione e Magistero, come se fossero una sola cosa. Per cui difendere la Tradizione annichilando o diminuendo al minimo il valore del Magistero è erroneo. È un paradosso che per fare l’apologia della Tradizione si minimizzi il Magistero quasi distruggendolo, ancor più di quanto non abbia fatto il Vaticano II. * Il Magistero della Chiesa 

Il Magistero si divide in Solenne e Ordinario. Quello Solenne si suddivide in Conciliare e Pontificio; quello Ordinario in Universale o Papale. 

MAGISTERO SOLENNE STRAORDINARIO CONCILIARE è l’insegnamento di “tutti” (totalità morale non matematica o assoluta) i Vescovi del mondo riuniti fisicamente – in maniera non abituale o non permanente e non stabile e quindi “stra-ordinaria” – in Concilio Ecumenico sotto il Papa.

MAGISTERO SOLENNE PERSONALE PONTIFICIO: il Papa che in quanto Papa (o seduto sulla cattedra di Pietro, “ex cathedra Petri”) definisce come divinamente rivelata una dottrina riguardante la Fede e la Morale ed obbliga a crederla come assolutamente necessaria alla salvezza.

Il Magistero Ordinario si divide in Universale o Pontificio. Innanzitutto ORDINARIO significa che quanto al modo di esercizio è comune, non è solenne, non è eccezionale o extra-ordinario, ma è solo normale, abituale. Quindi non è l’insieme dei Vescovi riuniti stra-ordinariamente in Concilio sotto il Papa, poiché il Concilio Ecumenico è un avvenimento non ordinario, non abituale, non in pianta stabile, ma eccezionale nel corso della storia della Chiesa (Concilio di Trento, 1563; Concilio Vaticano I, 1870). Non è neppure il Papa che definisce in maniera solenne o straordinaria una verità di Fede, ma in quanto trasmette la Rivelazione, che è contenuta nella Tradizione e nella Scrittura, in maniera non solenne, non cattedratica. Ciò non vuol dire che non sia Magistero vero, autentico, ufficiale, e, persino infallibile se vuole adempiere alle condizioni per essere assistito infallibilmente da Dio, ossia definire e obbligare a credere, anche se in maniera comune, ordinaria o semplice quanto al modo di insegnare. Esso in questo ultimo caso trasmette realmente il Deposito della Rivelazione e in ciò non può errare, pur non impiegando la pompa magna o la forma straordinaria e solenne in tale trasmissione della Rivelazione. 
MAGISTERO ORDINARIO UNIVERSALE: la trasmissione delle verità divinamente rivelate viene fatta dai Vescovi sparsi fisicamente nel mondo ossia residenti nelle loro Diocesi, ma in comunione col Papa e uniti intenzionalmente o in accordo tra loro e con Lui nell’insegnare una verità.
MAGISTERO ORDINARIO PAPALE: la trasmissione viene fatta dal Papa in quanto tale e in maniera ordinaria. Inoltre il Papa è infallibile se da solo definisce ed obbliga a credere ed anche se riprende, ripete ed enuncia una Verità di Fede o Morale, costantemente e universalmente tenuta da tutta la Chiesa (“quod sempre, ubique et ab omnibus creditum est”).

Il teologo tedesco ALBERT LANG spiega bene che «non riveste neppure importanza essenziale il fatto che i Vescovi esercitino il loro Magistero ‘in modo Ordinario e Universale’, oppure esercitino il loro Magistero ‘in modo Solenne’ riuniti in un Concilio Ecumenico convocato dal Papa. In entrambi i casi sono infallibili solo se, in accordo tra di loro e con il Papa, annunziano una dottrina in modo definitivo e obbligatorio»[3]. Ossia, per l’infallibilità il modo di insegnamento ordinario o straordinario è secondario e accidentale; ciò che è principale è la volontà di definire e obbligare a credere una verità di Fede e Morale, sia in maniera solenne sia in maniera comune o ordinaria.

Il Magistero è la ‘regola prossima’ della Fede, mentre Scrittura e Tradizione sono la ‘regola remota’. Infatti, è il Magistero della Chiesa che interpreta la Rivelazione e propone a credere con obbligatorietà, ciò che è contenuto in essa come oggetto di Fede, per la salvezza eterna.

 * Terminologia appropriata 

Il ‘DOGMA’ è una verità rivelata da Dio e contenuta nel Depositum Fidei: Tradizione e S. Scrittura (dogma materiale) e poi proposta a credere come necessaria per la salvezza eterna, quale divinamente rivelata o di fede (dogma formale), dal Magistero ecclesiastico con l’obbligo di credervi (Vaticano I, DB, 1800)[4] . Pertanto chi nega o rifiuta l’assenso a una verità di Fede definita dal Magistero è eretico e incorre ipso facto nella scomunica o anatema.[5]

La ‘DEFINIZIONE DOGMATICA’ è la dichiarazione obbligante della Chiesa su una verità rivelata e proposta obbligatoriamente a credere ai fedeli. Tale definizione può essere fatta sia dal Magistero ordinario (Papa che insegna in maniera ordinaria o non solenne ‘quanto al modo’, ma obbligante ‘quanto alla sostanza’ a credere una verità come rivelata da Dio e definita dalla Chiesa[6]; sia dal Magistero straordinario o solenne quanto al modo (una dichiarazione solenne o ‘extra-ordinaria’ del Papa o del Concilio[7]. Tale definizione dommatica si chiama pure dogma formale o verità di fede divino-cattolica o divino-definita. «Generalmente basta la funzione del Magistero ordinario a costituire una verità di Fede divino-cattolica, vedi Concilio Vaticano I, sess. III, c. 3, DB, 1792 » (P. PARENTE, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, 4° ed., 1957, voce “Definizione dommatica”). Attenzione però, se il Magistero ordinario può definire infallibilmente un dogma formale, non significa che esso sia sempre infallibile e che ogni suo pronunciamento sia una definizione dommatica; lo è solo se il Papa vuole definire una verità come di fede rivelata e obbligare a crederla per la salvezza eterna. (Cfr. “Enciclopedia Cattolica”, IV, col. 1792 [8]).

‘L’INFALLIBILITÀ[9] presuppone, infatti, da parte del Magistero la volontà di obbligare, definire, proporre obbligatoriamente a credere come dogma, una verità contenuta nel Deposito della Rivelazione scritta o orale. Per cui il Magistero è la ‘regola prossima’ della fede, mentre Scrittura e Tradizione sono la ‘regola remota’. Infatti, è il Magistero della Chiesa , che interpreta la Rivelazione e propone a credere con obbligatorietà, ciò che è contenuto in essa come oggetto di fede, per la salvezza eterna.

I ‘LUOGHI TEOLOGICI’ sono «la sede di tutti gli argomenti della ‘Scienza Sacra’ a partire dai quali i teologi traggono le loro argomentazioni sia per dimostrare una verità sia per confutare un errore» (M. CANO, De Locis tehologicis, Roma, ed. T. Cucchi, 1900, Lib. 1, cap. 3). Monsignor ANTONIO PIOLANTI scrive: «La Teologia è fondata su Verità rivelate, le quali sono contenute nella Scrittura e nella Tradizione, la cui interpretazione è affidata al vivo Magistero della Chiesa[10], il quale a sua volta si manifesta attraverso le definizioni dei Concili, le decisioni dei Papi, l’insegnamento comune dei Padri e dei Teologi scolastici» (Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 246). Perciò erra gravemente chi vuole ridurre il Magistero ad un accidente contingente, nato con la crisi neomodernista alla quale PIO XII avrebbe risposto con l’enciclica Humani generis (1950) lanciando l’idea di Magistero come baluardo contro la nouvelle théologie. No! il Magistero è un Luogo teologico, che interpreta realmente la Scrittura e la Tradizione, altrimenti basterebbero la Bibbia e il Denzinger, mentre Cristo ha detto ai suoi Apostoli: “Andate e insegnate a tutti i popoli” (Mt., XXVIII, 18). Quindi il mezzo stabilito da Cristo per la diffusione della dottrina evangelica non è la sola Scrittura o la sola Tradizione orale, ma il Magistero vivo, cui Egli assicura (a certe condizioni) un’assistenza (infallibile) sino alla fine del mondo. Il cardinal PIETRO PARENTE scrive che il Magistero è perciò: “il potere conferito da Cristo alla sua Chiesa, in virtù del quale la Chiesa docente è costituita unica depositaria e autentica interprete della Rivelazione divina. [...]. Secondo la dottrina cattolica la S. Scrittura e la Tradizione non sono che la fonte e la ‘regola remota’ della Fede, mentre la ‘regola prossima’ è il Magistero vivo della Chiesa” (Dizionario di Teologia dommatica, cit., pp. 249-250). 

 * Schema riassuntivo sul Magistero
  1. papale: del solo Pontefice romano;
    a) straordinario: pronunciamento solenne o ‘non-comune’ sia quanto al modo (proclamazione in pompa magna) sia quanto alla sostanza (definizione di un dogma di fede divino-cattolica con obbligo di credervi; p. es. l’Immacolata o l’Assunta solennemente proclamate da Pio IX e XII come verità divinamente rivelate e proposte a credere obbligatoriamente in ordine alla salvezza eterna). È infallibile di per se stesso (DB, 1839).
    b) ordinario: comune o ‘non-solenne’ quanto al modo di insegnare. Quanto alla sostanza della verità proposta è infallibile solo se il Papa vuole definire e obbligare a credere come divinamente rivelato ciò che insegna, in maniera ordinaria, ‘non-solenne’ o comune; oppure se enuncia una verità di fede o di morale costantemente e universalmente tenuta nella Chiesa (p. es. Giovanni Paolo II sull’inammissibilità del sacerdozio femminile e Paolo VI sulla contraccezione). 
  2. universale: dei Vescovi assieme al Papa;
    c) straordinario: Papa e vescovi uniti fisicamente nello stesso luogo (in Concilio Ecumenico a Firenze, Trento o Roma), insegnano solennemente o in maniera ‘non-comune’ quanto al modo (essendo uniti eccezionalmente nello stesso luogo e non sparsi abitualmente nel mondo). È infallibile, quanto alla sostanza della verità insegnata, se vuole definire e obbligare a credere come divinamente rivelata una dottrina per la salvezza eterna.
    d) ordinario: insegnamento comune, ‘non-solenne’ dei Vescovi abitualmente sparsi fisicamente nel mondo nelle loro rispettive Diocesi, ma uniti intenzionalmente al Papa nel proporre un insegnamento. È infallibile se tale insegnamento è impartito, quanto alla sostanza della verità proposta, come definitivo e obbligatorio a credersi per la salvezza dell’anima
* Il Magistero conciliare è straordinario, ma non è sempre infallibile

Il Concilio è Magistero straordinario ‘quanto al modo’, nel senso che non è abitualmente o permanentemente riunito, ma straordinariamente o solennemente; tuttavia il suo insegnamento è infallibile soltanto se definisce una verità di Fede come da credersi obbligatoriamente. Quindi il Magistero sia ordinario che straordinario è infallibile solo se ha la ‘volontà di definire e obbligare a credere’. In breve per esercitare l’infallibilità l’essenziale è obbligare i fedeli a credere come divinamente rivelato ciò che si definisce, sia in ‘maniera ordinaria’ sia in ‘maniera solenne o straordinaria’ (il modo è elemento accidentale dell’infallibilità). La forma esterna solenne o straordinaria ‘quanto al modo’ di pronunciarsi non è per sé indice di infallibilità; l’essenziale è imporre ‘quanto alla sostanza’, in ‘maniera ordinaria o straordinaria’, la dottrina annunziata definitivamente e obbligatoriamente per la salvezza. Onde non tutto ciò che è Magistero straordinario quanto alla forma esterna e ‘non comune’ o ‘non ordinaria’ di pronunciarsi con formule solenni è infallibile. Per esempio il Concilio Ecumenico Vaticano II è Magistero straordinario quanto al modo ma non infallibile, poiché non ha voluto definire né obbligare a credere

 * Le quattro condizioni dell’infallibilità 

La costituzione ‘Pastor Aeternus’ del CONCILIO VATICANO I stabilisce le condizioni necessarie per l’infallibilità delle definizioni pontificie straordinarie o ordinarie[11]. Essa insegna che il Papa è infallibile «quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo l’ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce una dottrina riguardante la Fede ed i Costumi, che deve tenersi da tutta la Chiesa» . I teologi sono unanimi nel vedervi la soluzione del problema delle condizioni dell’infallibilità pontificia[ii]. Pertanto; le condizioni necessarie perché si abbia un pronunciamento infallibile del Magistero pontificio straordinario o ordinario sono quattro:
  1. che il Papa parli come Dottore e Pastore universale; 
  2. che usi della pienezza della sua autorità apostolica; 
  3. che manifesti chiaramente la volontà di definire e di obbligare a credere; 
  4. che tratti di fede o di morale. 
 * La ‘voluntas definiendi’ 
  1. Il Papa 
    Il punto cruciale del problema è nella terza condizione, e cioè che vi sia intenzione di definire ed obbligare a credere. Come si manifesta questa intenzione? È fondamentale che sia chiaro, in un modo o nell’altro, che il Papa vuole definire (in maniera ‘ordinaria’ o ‘straordinaria’) una verità da credere obbligatoriamente in quanto divinamente rivelata. 
  2. Il Concilio Ecumenico
    Il CONCILIO VATICANO I non ha dichiarato in che condizioni un Concilio ecumenico è infallibile. Ma, per analogia con il Magistero pontificio, si può affermare che le condizioni sono le stesse. Come il Papa, anche il Concilio ha la facoltà di essere infallibile, ma può usarne o no, a sua volontà. Molti cattolici male informati potrebbero a questo punto obiettarci di avere sempre sentito dire che ogni Concilio ecumenico è necessariamente infallibile. Questo non è però quanto dicono i teologi: “a posse ad esse non valet illatio”, ossia “il passaggio da poter essere infallibilmente assistito ed esserlo de facto non è valido”. SAN ROBERTO BELLARMINO afferma che solo dalle parole del Concilio si può sapere se i suoi decreti sono proposti come infallibili e conclude che, quando le espressioni al riguardo non sono chiare, non è certo che la dottrina enunciata sia di Fede[iii] . E, se non è certo, non c’è neppure l’obbligo di credere, perché, secondo il CODICE DI DIRITTO CANONICO, «nessuna verità deve essere considerata come dichiarata o definita come da credere, a meno che questo consti in modo manifesto»[iv] . 
* Anche la costanza dell’insegnamento lo rende infallibile 

Padre J. A. ALDAMA scrive: «Benché il Magistero ordinario del Pontefice Romano non sia di per sé infallibile, se però [anche senza manifestare la voluntas definiendi] insegna costantemente e per un lungo periodo di tempo una certa dottrina a tutta la Chiesa, si deve assolutamente ammettere la sua infallibilità; in caso contrario, la Chiesa indurrebbe in errore»[v]. In questo caso ci troviamo di fronte all’infallibilità del Magistero ordinario per la continuità di uno stesso insegnamento. Il fondamento dottrinale di quest’infallibilità è quello indicato dal padre Aldama: se in una lunga e ininterrotta serie di documenti ordinari su uno stesso punto i Papi e la Chiesa universale potessero ingannarsi, le porte dell’inferno avrebbero prevalso contro la Sposa di Cristo. Essa si sarebbe trasformata in maestra di errori, alla cui influenza pericolosa e perfino nefasta i fedeli non avrebbero modo di sfuggire. Evidentemente il fattore tempo non è l’unico di cui si debba tenere conto. Ve ne sono numerosi altri. Secondo la classica formula di SAN VINCENZO DI LERINO, dobbiamo credere a quanto è stato insegnato ‘sempre, ovunque e da tutti’, «quod semper, quod ubique, quod ab omnibus». Infatti l’assistenza dello Spirito Santo sarebbe manchevole se una dottrina insegnata “sempre, ovunque e da tutti” potesse essere falsa. 

PIO IX nella Lettera “Tuas libenter” del 21 dicembre 1863 insegna: «qualora si trattasse della sottomissione dovuta alla Fede divina, non la si potrebbe restringere ai soli punti definiti con decreti emanati dai Concili Ecumenici, o dai Romani Pontefici; ma bisognerebbe anche estenderla a tutto ciò che è trasmesso, come divinamente rivelato, dal Magistero ordinario universale di tutta la Chiesa sparsa nell’universo». Tuttavia è necessario non intendere l’adagio in senso esclusivo, cioè come se l’infallibilità per la continuità di uno stesso insegnamento esistesse soltanto quando si verificassero queste tre condizioni[vi]. Vi può essere anche solo con la voluntas definiendi in maniera ordinaria. 

* Vaticano II e infallibilità 

Il Concilio Vaticano II ha usato la prerogativa della infallibilità? La risposta è semplice e categorica: no. In nessuna occasione i Padri conciliari hanno avuto la voluntas definiendi et obligandi, cioè in nessuna occasione hanno osservato la terza condizione d’infallibilità sopra indicata. Solo dove ha ripetuto ciò che la Chiesa aveva insegnato costantemente e infallibilmente il Vaticano II è stato infallibile de facto. Già nella fase preparatoria del Concilio GIOVANNI XXIII aveva dichiarato che esso non avrebbe definito verità da credere, ma avrebbe avuto soltanto un carattere pastorale. Si veda inoltre in proposito la “DICHIARAZIONE DEL 6 MARZO 1964 DELLA COMMISSIONE DOTTRINALE”[vii]. Questa dichiarazione ha un’enorme importanza, non solo per essere stata ripetuta posteriormente dalla stessa commissione[viii] , e applicata ufficialmente a più di uno schema[ix], ma soprattutto perché PAOLO VI l’ha indicata come norma di interpretazione di tutto il Concilio[x] . 

* Possibilità ‘eccezionale’ di errore in atti del Magistero 

Possiamo dire che il semplice fatto secondo cui i documenti del Magistero si dividono in infallibili e in ‘non infallibili’ lascia aperta, in tesi, la possibilità di errore in qualcuno di quelli ‘non infallibili’, i quali per definizione possono eccezionalmente “fallire” essendo ‘non-infallibili’. Questa conclusione si impone in base al principio metafisico enunciato da SAN TOMMASO D’AQUINO: «quod possibile est non esse, quandoque non est», ossia «ciò che può non essere [infallibile], talora non è [infallibile]»[xi]. Se, in via di principio, in un documento pontificio vi può essere errore per il fatto che non vi sono osservate le quattro condizioni dell’infallibilità, lo stesso si deve dire a proposito dei documenti conciliari, quando non osservino le stesse condizioni. In altri termini, quando un Concilio non intende definire con voluntas obligandi verità di Fede come divinamente rivelate, a rigore può cadere eccezionalmente in errore. Questa conclusione deriva dalla simmetria esistente tra la infallibilità pontificia e quella della Chiesa messa in evidenza dallo stesso Concilio Vaticano I[xii] .

i) DB, 1839.
ii) Cfr. F. DIEKAMP, Theologiae Dogmaticae Manuale, Desclée, Parigi-Tours-Roma, 1933, vol. I, p. 71; L. BILLOT, Tractatus de Ecclesia Christi, Iochetti, Prato, 1909, tomo I, pp. 639 ss.; L. CHOUPIN, Valeur des décisions doctrianales et dísciplinaires du Saint-Siège, Beauchesne, Parigi, 1928, p. 6; J. M. HERVÉ, Manuale Theologiae Dogmaticae, Berche, Parigi, 1952, vol. I, pp. 473 ss.; C. JOURNET, op. cit., vol. I, p. 569; P. NAU, El magisterio pontificio ordinario, lugar teologico, cit., p. 43; I. SALAVERRI., op. cit., p. 697; S. CARTECHINI., op. cit., p. 40.
iii) Cfr. R. BELLARMINO, De Conciliis, 2, 12, in Opera omnia, Natale Battezzati, Milano, 1858, vol. II.
iv) Codex Iurís Canonici (1917), can. 1323, § 2. Nello stesso senso, cfr. S. CARTECHINI, op. cit., p. 26.
v) J. A. DE ALDAMA, Mariologia, in Sacrae Theologiae Summa, BAC, Madrid, 1961, vol. III, p.418.
vi) Cfr. F. DIEKAMP, op. cit. p. 68.
vii) Cfr. L’Osservatore Romano, edizione in francese, 18-12-1964, p. 10.
viii) ibidem.
ix) Cfr. L’Osservatore Romano, edizione in francese, 26-11-1965, p. 3.
x) Cfr. PAOLO VI, Discorso del 12-l-1966, in Insegnamenti di Paolo VI, cit., vol VI, Roma, 1967, p. 700. 

* La sospensione dell’assenso ad un atto magisteriale difforme dalla Tradizione apostolica è lecita in alcuni casi eccezionali 

Fuori dell’infallibilità quando vi sia «un’opposizione precisa tra il testo di enciclica e le altre testimonianze della Tradizione apostolica»[xiii], allora sarà lecito al fedele dotto e che abbia studiato accuratamente la questione, sospendere o negare il suo assenso al documento papale. Questa dottrina si trova in teologi più autorevoli. Ne citiamo alcuni.

Padre DIEKAMP: «Gli atti non infallibili del Magistero del Romano Pontefice non obbligano a credere e non postulano una sottomissione assoluta e definitiva. Tuttavia bisogna aderire con un assenso religioso e interno a tali decisioni, dal momento che costituiscono atti del supremo Magistero della Chiesa, e che si fondano su solide ragioni naturali e soprannaturali. L’obbligo di aderire ad esse può cominciare a cessare solo nel caso, che si dà soltanto rarissimamente, in cui un uomo idoneo a giudicare l’argomento in questione, dopo una diligente e ripetuta analisi di tutte le ragioni, giunga alla convinzione che nella decisione si è introdotto l’errore»[xiv]  .

Padre MERKELBACH: «Finché la Chiesa non insegna con autorità infallibile, la dottrina proposta non è di per sé irreformabile; perciò se per accidens, ossia eccezionalmente, in un’ipotesi per altro rarissima, dopo un esame assai accurato a qualcuno sembra che esistano ragioni gravissime contro la dottrina così proposta, sarà lecito senza temerarietà ‘sospendere l’assenso interno’»[xv]. La «sospensione dell’assenso interno», di cui parlano i teologi, ha maggiore ampiezza della semplice «sospensione del giudizio» del linguaggio corrente. Infatti, a seconda del caso, il diritto di «sospendere l’assenso interno›› comporterà, oltre al non giudicare, il diritto di temere che vi sia errore nel documento del Magistero, o quello di dubitare dell’insegnamento in esso contenuto, o anche quello di respingerlo

Da tutto quanto esposto si deduce che, in via di principio, l’esistenza di errori in documenti ‘non infallibili’ del Magistero anche pontificio e conciliare non ripugna. Indubbiamente tali errori non possono essere durevolmente e costantemente proposti nella Santa Chiesa, al punto da mettere le anime nel dilemma di accettare l’insegnamento falso oppure di rompere con la Chiesa. Tuttavia è possibile, in via di principio ed eccezionalmente, che per qualche tempo, soprattutto in periodi di crisi e di grandi eresie, si trovi qualche errore in documenti del Magistero. Facciamo queste osservazioni senza alcun obbiettivo demolitore del Magistero. Non miriamo, cioè, a fondare le «contestazioni» ereticali con cui i progressisti o i conciliaristi gallicani cercano, in ogni momento, di scuotere il principio di autorità papale nella Chiesa. Quello a cui miriamo, richiamando la possibilità di errore in documenti magisteriali non infallibili è offrire un aiuto per illuminare i problemi di coscienza e gli studi di molti antiprogressisti di fronte alle novità introdotte dal Vaticano II e dal post-concilio, perché essi, per il fatto d’ignorare tale possibilità, si trovano spesso in condizione di perplessità per quanto riguarda il Concilio Vaticano II e le riforme da esso scaturite.

* Rapporto tra Tradizione e Magistero 

La Tradizione assieme alla Bibbia è una delle due “fonti” della divina Rivelazione (Tradizione passiva e oggettiva). Essa è anche la “trasmissione” (dal latino tradere, trasmettere) orale di tutte le verità rivelate da Cristo agli Apostoli o suggerite loro dallo Spirito Santo, e giunte a noi mediante il Magistero sempre vivo della Chiesa, assistita da Dio sino alla fine del mondo (Tradizione passiva e oggettiva). La Tradizione assieme alla S. Scrittura è il “canale contenitore (Tradizione passiva) e veicolo trasmettitore (Tradizione attiva)” della Parola divinamente rivelata. Il Magistero ecclesiastico è “l’organo” della Tradizione. Mentre gli “strumenti” in cui si è conservata sono i Simboli di fede, gli scritti dei Padri, la liturgia, la pratica della Chiesa, gli Atti dei martiri e i monumenti archeologici. 

 La Tradizione si può considerare sotto due aspetti
  1. in senso attivo (soggettivo o formale), essa è l’organo vivo o il soggetto (persone o istituzioni/Papa e Chiesa) il quale funge da canale di trasmissione; 
  2. in senso passivo (oggettivo o materiale) è l’oggetto o deposito trasmesso (Dottrina e Costumi)[12]. 
La Tradizione di cui ci occupiamo in questo articolo è quella sacra o cristiana e non quella profana. La Tradizione cristiana si divide in 
  1. Tradizione divina (insegnata direttamente da Cristo agli Apostoli);
  2. Tradizione divino-apostolica (gli Apostoli non la ascoltarono dalla bocca di Cristo, ma la ebbero per ispirazione dello Spirito Santo). Essa consiste in quelle verità o precetti morali, disciplinari e liturgici, i quali derivano direttamente da Cristo o dagli Apostoli, in quanto promulgatori della Rivelazione, illuminati dallo Spirito Santo, trasmesse agli uomini incorrotte sino alla fine del mondo, esse sono oggetto di Fede divina.
Tradizione “vivente”?
I primi ‘Discepoli’ degli Apostoli ricevettero in maniera diretta e immediata la Tradizione dalla bocca dei Dodici, mentre i posteri la ricevono in maniere indiretta e mediata, tramite l’insegnamento dei successori di Pietro (i Papi) e degli Apostoli (i Vescovi) cum Petro et sub Petro, il Magistero è l’organo della trasmissione ininterrotta della medesima eredità ricevuta dagli Apostoli da parte di Cristo o dello Spirito Santo. Questa è la funzione del Magistero: mediare, interpretare e attualizzare o trasmettere l’insegnamento divino, ma sempre agganciandosi alla Tradizione ricevuta e quindi già trasmessa. Non si tratta di far vivere una Fede nuova (“nova”), ma di tramandare e far ricevere o rivivere continuamente e nuovamente (“nove”) l’unica Fede predicata da Cristo e dagli Apostoli, sino alla fine del mondo. Tale funzione non contiene e non propone nessuna novità sostanziale, ma solo ribadisce in maniera nuova e approfondita o esplicitata la stessa verità contenuta nella Scrittura e nella Tradizione. Da questa trasmissione della Fede è totalmente assente ogni ombra di contraddizione tra verità antiche e nuove e lo sviluppo o approfondimento deve avvenire “nello stesso senso e nello stesso significato” (S. VINCENZO DA LERINO, Commonitorium, XXIII). Solo in tale senso si può parlare anche di Tradizione “viva”, non in quanto “cangiante”, ma “omogeneamente crescente”[13]. Non vi è Tradizione, non sussiste verità cattolica dove si trova contraddizione, contrarietà o concorrenza tra “nova et vetera”. Il card. PIETRO PARENTE su L’Osservatore Romano del 9-10 febbraio 1942 già scriveva: «c’è da deplorare [...] la strana identificazione della Tradizione (fonte della Rivelazione) col Magistero vivo della Chiesa (custode ed interprete della divina Parola)». In breve vi è una distinzione tra Tradizione e Magistero nel senso che il secondo custodisce, spiega e propone a credere le verità contenute nella Tradizione ed è molto pericoloso identificare la Tradizione col Magistero vivente, perché si finisce col dare alla prima un carattere intrinsecamente evolutivo o al contrario relativizzare talmente il Magistero rispetto alla Tradizione sino a minimizzarlo o quasi annichilarlo. Sono i due errori, per eccesso e per difetto, che si riaffacciano oggi.

 * Ermeneutica della continuità 

La continuità tra due dottrine per essere reale e non solo verbale deve comportare una continuità omogenea, che esclude ogni alterazione sostanziale o intrinseca, ogni diversità o novità eterogenea, anche solo parziale. Il Magistero è vivente in quanto ad un Papa morto ne segue uno vivo e in atto sino alla consumazione del mondo; invece, per quanto riguarda la Tradizione, bisogna fare attenzione a non parlare di Tradizione vivente se non si esplicita il vero e unico significato di tale vitalità, come condizionata dalla continuità con la dottrina ricevuta dagli Apostoli e trasmessa senza alterazioni sostanziali. La Tradizione è immutabile (da non confondere con mummificazione) come la verità divina (“Ego sum Dominus et non mutor”), che il Magistero ha ricevuto da Gesù e dagli Apostoli e che ripropone in quanto tale intrinsecamente ed è approfondita solo estrinsecamente, per rendere più esplicita una verità o per superare e confutare gli errori ad essa contrapposti[14]. La Tradizione è veramente viva solo se mantiene la sua natura come un bambino che cresce restando sempre se stesso. La Tradizione “vivente” in senso modernistico, quale evoluzione eterogenea ed intrinseca di essa, è una conciliazione dell’inconciliabile, un assurdo, una contraddizione. Il Magistero per essere in continuità con la Tradizione deve “trasmettere ciò che ha ricevuto” (“tradidi quod et accepi”) dagli Apostoli, senza novità sostanziali, intrinseche ed eterogenee; altrimenti non vi è continuità, ma difformità e deformità reale anche se nominalmente ci si richiama alla “Tradizione” vivente, deformandone, così, il significato, sottolineando l’aggettivo “vivente” a scapito della Tradizione.

* Tradizione scritta e orale 

La Tradizione orale non esclude che venga poi messa per iscritto, ma non sotto la “divina Ispirazione”[15], che appartiene alla S. Scrittura, in quanto, col passare del tempo, la trasmissione a voce viene fissata in documenti scritti o epigrafi. Per esempio la validità del Battesimo dei neonati è Tradizione, poiché è parola di Dio non scritta sotto divina ispirazione, ma attestata unanimemente da quasi tutti gli antichi scrittori ecclesiastici. Tuttavia lo scritto è solo un sussidio della Tradizione orale. Onde vi possono essere Tradizioni o insegnamenti divino-apostolici di cui nulla è stato scritto. Sarà la voce del Pastore o della Chiesa, ossia il Magistero vivente nella persona del Papa attualmente regnante (eventualmente assieme ai Vescovi, se il Papa lo desidera senza esservi obbligato) a garantire che tali verità sono di origine divina o divino-apostolica. Solo in questo senso soggettivo si può parlare di Tradizione “vivente”, in quanto l’insegnamento divino o apostolico, oggetto della Tradizione, viene trasmesso ininterrottamente dalla catena dei Papi vivi.

* Tradizione e S. Scrittura 

Confrontando Tradizione e Scrittura si dice che la Tradizione è 
  1. inesiva”, se la stessa verità è contenuta sia nella Scrittura che nella Tradizione; 
  2. dichiarativa”, se una verità attestata dalla Scrittura viene chiarita meglio dalla Tradizione; 
  3. completiva” se trasmette verità non contenute nella Bibbia, ad esempio la pratica di battezzare i neonati. Perciò è dottrina comunemente insegnata che la Tradizione è più ricca della sola Scrittura. Più ricca in antichità (anche la Scrittura prima di essere messa per iscritto è stata Tradizione, in quanto trasmissione a voce della divina Rivelazione, in pienezza (in quanto la Tradizione contiene tutte le verità rivelate mentre la Scrittura no) e in sufficienza (poiché la Scrittura ha bisogno della Tradizione per stabilire la sua autorità).[16]
* Errore luterano
Per il protestantesimo, invece, l’unica fonte della Rivelazione è la S. Scrittura, onde la sola nozione di Tradizione orale e di Magistero quale canale trasmettitore di essa è inconcepibile. Invece la Chiesa ha definito infallibilmente nel Concilio di Trento (sessione IV del 6 aprile 1546; DB, 783) e nel Concilio Vaticano I (DB, 1787) 
  1. che esistono insegnamenti o Tradizioni divino-apostoliche aventi relazione con la Fede e la Morale 
  2. trasmesse ininterrottamente tramite il Magistero della Chiesa 
  3. assistita da Dio. 
Se manca una sola di queste tre condizioni la “tradizione” è solo umana e quindi fallibile. Inoltre il Tridentino ha definito (sessione IV; DB, 783) che la Fede e la Morale “è contenuta tanto nei Libri Sacri scritti [sotto divina Ispirazione], quanto nella Tradizione non scritta” e che bisogna “ricevere con pari amore di pietà e riverenza” sia l’una che l’altra fonte della Rivelazione (DB, 738; ripreso dal Vaticano I; DB, 1787). Per l’ortodossismo scismatico esiste la ‘sola Tradizione’, senza il Magistero petrino divinamente assistito, che la interpreta correttamente. 

* Esistenza della Tradizione nella Bibbia 

L’errore luterano è smentito dalla stessa Scrittura: “Andate, dunque, ammaestrate tutte le genti […] insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho comandato” (Mt. XXVIII, 19-20). Gesù non ha scritto nulla né ha comandato di scrivere, ma di insegnare; perciò, gli Apostoli hanno prima predicato e solo dopo hanno messo per iscritto parte dell’insegnamento orale di Cristo. 

 a) La Tradizione e i Padri 
Col III secolo (PAPIA + 130; S. CLEMENTE ROMANO + 101; S. IRENEO DA LIONE + 202 e TERTULLIANO + 222) i Padri ecclesiastici iniziarono a distinguere nettamente S. Scrittura e Tradizione come due fonti distinte della Rivelazione, dando una certa preferenza alla Tradizione. Nel IV-V secolo con i Cappadoci in oriente (S. BASILIO + 379, S. GREGORIO NAZIANZENO + 390 e NISSENO + 394) e S. AGOSTINO (+ 430) in occidente si approfondì il significato di Tradizione specialmente in rapporto ai suoi organi di trasmissione (Papi, Concili, Padri ecclesiastici). S. VINCENZO DA LERINO, infine, ha formulato la regola più nota e comune per discernere la Tradizione divino-apostolica: “Quod ubique [universalità], quod semper [antichità], quod ab omnibus [conenso generale] creditum est” (Commonitorium, II). Questa regola è stata fatta propria dal Concilio Vaticano I. 

 b) Tradizione, Assistenza divina e Magistero 
Come si vede, sia nella Scrittura che nei Padri il concetto di Tradizione è sempre collegato 
  1. all’Assistenza di Dio, poiché senza l’aiuto dello Spirito di Verità la purezza dell’insegnamento orale non potrebbe conservarsi senza mescolanza di errori; 
  2. al Magistero, che, pur non essendo la Tradizione stessa, è l’organo tramite il quale essa viene trasmessa, il senso pieno di Tradizione si può avere solo a condizione di tenere uniti i due suoi aspetti: l’aspetto passivo, che è il Deposito della Fede, e l’aspetto attivo che coincide con il Magistero. Il secondo aspetto è il più importante, così che una “tradizione”, anche se del I secolo, ma non attestata dal Magistero della Chiesa non costituisce una ‘vera’ Tradizione divino-apostolica; al massimo avrebbe il valore di documentazione storica, ma non sarebbe una Tradizione di Fede divina. Tra Magistero e Tradizione vi è distinzione ma non separazione totale, ossia la Chiesa è come un Maestro (Magistero) che contiene e trasmette la Scrittura (Bibbia) e la Tradizione (Denzinger), il quale ha un Libro di testo ufficiale (Bibbia + Denzinger) e ne spiega il vero significato ai discenti; se un allievo non capisce bene il significato del Libro può chiedere spiegazione al Maestro ed egli lo illuminerà. Da tutto ciò risulta la parte essenziale e non minimale o addirittura contingente, che svolge il Magistero nel dare, “tutti i giorni sino alla fine del mondo”, la retta interpretazione soggettivo/formale del contenuto dommatico-morale della Tradizione, avendone garantito ieri la veridicità del contenuto passivo o oggettivo/materiale . 
* Riassumendo 

Il Magistero custodisce, interpreta e spiega realmente la Parola di Dio scritta o orale (“Verbum Dei scriptum vel traditum”). Quindi questi tre termini non sono identici. Il Magistero non è fonte di Rivelazione, la Scrittura e Tradizione sì. Perciò il Magistero presuppone le due fonti della Rivelazione, le custodisce e le spiega, onde in senso stretto non coincide con la Tradizione. Tuttavia se si considera il Magistero nei suoi documenti o oggettivamente, allora si può dire che in essi si ritrova la fonte o luogo in cui vi è la Rivelazione .  

Il Magistero è assistito da Dio. Tuttavia quest’assistenza non è assoluta, ma limitata alla trasmissione della Rivelazione. Dunque, lungi dal costituire la dottrina o la Verità divina, l’atto del Magistero la conserva e la dichiara: il Magistero si definisce come tale in dipendenza oggettiva dalla Rivelazione divina, di cui deve assicurare la trasmissione. 

L’assistenza è data al Papa perché egli possa preservare la Fede della Chiesa. Se si perde di vista il giusto rapporto che fa dipendere il Magistero dalla Tradizione oggettiva, il Dio rivelatore rischia di passare in secondo piano a vantaggio del Magistero custode ed interprete, ossia il Creatore cederebbe il passo alla creatura, il Fine al mezzo. 
 sì sì no no
__________________________
1) Brunero Gherardini, Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Id., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011.
2)  Per esempio una verità divinamente e ‘formalmente rivelata’ è una Verità di Fede o di Fede-rivelata o Dogma materiale, se poi la Chiesa ha definito che tale verità è rivelata e obbliga a crederlo è una Verità di Fede rivelata e definita, o Dogma formale oppure di Fede divino-cattolica o anche di Fede divino-definita, la loro negazione è ‘eresia’. Una verità non ancora definita è Prossima alla Fede, la sua negazione è ‘prossima all’eresia’. Invece ciò che è ‘virtualmente rivelato’, ossia deducibile tramite sillogismo da una Maggiore di Fede, è una Conclusione teologica, la sua impugnazione è un ‘errore teologico’.
3) Compendio di Apologetica, tr. it. Torino, Marietti, 1960, p. 461.
4) Cfr. Cipriano Vagaggini, voce “Dogma”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, col. 1792-1804; Giacinto Ameri, voce “Definizione dogmatica”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 1306-1307.
5) Cfr. G. Zannoni, voce “Eresia”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. V, coll. 487-492.
6) Per es. Giovanni Paolo II sulla impossibilità del sacerdozio femminile; oppure i Vescovi sparsi nel mondo assieme al Papa. Per es. Pio XII che chiede ai Vescovi di tutto il mondo se reputano rivelata e definibile l’Assunzione di Maria SS. in Cielo.
7) Per esempio Pio IX, che definisce da solo l’Immacolata Concezione o il Concilio Vaticano I, che definisce l’Infallibilità pontificia.
8) «Sono da credersi di fede divino-cattolica tutte le cose che sono contenute nella Parola di Dio scritta o tramandata e che sono proposte a credere dalla Chiesa, sia con Giudizio solenne sia col Magistero ordinario, come divinamente rivelate».
9) Cfr. Federico dell’Immacolata, voce “Infallibilità”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1951, vol. VI, coll. 1920-1924.
10) Cfr. M. Cordovani, voce “Chiesa”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1949, vol. III, coll. 1443-1466; Antonio Piolanti, voce “Primato di San Pietro e del Romano Pontefice”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1953, vol. X, coll. 6-19; Giuseppe Damizia, voce “Concilio”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 167-172.
11) Il Concilio Vaticano I, sess. III, c. 3, DB, 1792 insegna infallibilmente: “Sono da credersi di fede divino-cattolica tutte le cose che sono contenute nella Parola di Dio scritta o tramandata e che sono proposte a credere dalla Chiesa come divinamente rivelate [elemento essenziale], sia con giudizio solenne sia col Magistero ordinario [elemento accidentale modale]”. Come si vede il Magistero ordinario consta di un giudizio non solenne ‘quanto al modo’ di esprimersi, ma se manifesta la voluntas definiendi anche in maniera ordinaria, comune o non solenne, è egualmente infallibile.
12) Cfr. G. Mattiussi, L’immutabilità del dogma, in “La Scuola cattolica”, marzo 1903.
13) Cfr. A. Marìn Sola, L’evolution homogène du dogme, Friburgo, 1924.
14) S. Th., II-II, q. 1, a. 9, ad 2.
15) Impulso o mozione divina che spinge l’agiografo a scrivere quanto Dio vuole che sia comunicato. S. Paolo scrive che “tutta la Scrittura è ispirata da Dio” (II Tim. III, 16-17). Leone XIII nell’enciclica Providentissimus del 1893 ha definito così la ispirazione agiografica biblica o divina: “azione soprannaturale tramite la quale Dio eccitò e mosse gli scrittori sacri a scrivere, li assistette nello scrivere di modo che essi concepissero rettamente col pensiero, volessero fedelmente scrivere ed esprimessero correttamente con infallibile verità tutto quello che Egli voleva che esprimessero”. Dio è l’autore principale del Libro sacro; l’agiografo l’autore secondario e strumentale, ma cosciente e libero, per cui Dio 1°) illumina la mente dell’agiografo per fargli capire perfettamente ciò che deve scrivere e discernerne infallibilmente la verità dalla falsità; 2°) muove la volontà dell’agiografo perché si decida a scrivere quel che ha capito e giudicato vero; 3°) assiste le facoltà esecutive affinché nella scelta delle parole non vi siano errori o deviazioni che comprometterebbero la manifestazione del pensiero divino. (Cfr. Ch. Pesch, De Inspiratione Scripturae, Friburgo, 1906; E. Florit, Ispirazione biblica, Roma, 1951).
16) M. Cano, De locis theologicis lib XII, Venezia, 1799, p. 4.
17) Cfr. J. B. Franzelin, De divina traditione et Scriptura., Roma, 1870; L. Billot, De immutabilitate traditionis, Roma, 1904; S. G. Van Noort, Tractatus de fontibus Revelationis necnon de fide divina, 3a ed., Bussum, 1920; S. Cipriani, Le fonti della Rivelazione, Firenze, 1953; A. Michel, voce “Tradition”, in DThC, XV, coll., 1252-1350; G. Filograssi, La Tradizione divino-apostolica e il magistero ecclesiastico, in “La Civiltà Cattolica”, 1951, III, pp. 137-501; G. Proulx, Tradition et Protestantisme, Parigi, 1924; S. Tommaso d’Aquino, S. Th., III, q. 64, a. 2, ad 2; B. Gherardini, Divinitas 1, 2, 3/ 2010, Città del Vaticano, S. Cartechini, Dall’opinione al domma, Roma, Civiltà Cattolica, 1953, M. Schmaus, tr. it., La Chiesa, Casale Monferrato, Marietti, 1973. Cfr. J. Salaverri, De Ecclesia Christi, Madrid, BAC, 1958, n° 805 ss.

lunedì 26 dicembre 2011

Introduzione alla "Preghiera infocata". La passione dei sacerdoti di Dio

Pubblico l'articolo che Cristina Siccardi ha dedicato a Louis-Marie Grignion de Montfort ed alla sua «Preghiera infocata» (testo della preghiera), perché credo che in questo nostro tempo c'è molto bisogno di attingere alle "gemme" dei Santi. 


Medicina sempre efficace all'anima, quando tutt'intorno sembra religiosamente ed eticamente crollare, sono le gemme lasciate dai santi della Chiesa, che a volte si dimostrano essere risorsa preziosissima per dare alimento e nutrimento alla propria Fede. Negli eletti di Dio è possibile trovare ossigeno e ristoro così come l'amante della montagna e un rinvigorimento oltre-passare i mille metri per respirare l'aria pura delle vette. Questo accade quando si ha la fortuna di scoprire o riscoprire, per esempio, la «Preghiera infocata» di Louis-Marie Grignion de Montfort (1673-1716), una vera e propria saetta di invocazione e di mirabile amore per la Trinità e Maria Santissima. È una scheggia che allontana ogni tiepidezza. Si tratta di una preghiera che il fondatore della Compagnia di Maria e delle Figlie della Sapienza scrisse per cercare santi sacerdoti idonei alla Compagnia di Maria.

Il cantore della Madonna fu protagonista di molteplici missioni per la Francia e memorabili rimangono quelle svolte in Vandea, sia nella parte settentrionale, dove si trovavano molti monasteri, chiese confraternite e un maggior numero di sacerdoti e vocazioni in generale, sia in quella meridionale, meno devota perché in alcune zone si era diffuso il Protestantesimo.

domenica 25 dicembre 2011

Un Bambino è nato per noi...

"Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine" (Is 9,5s).


Che il Principe della Pace, che ha amato assumere e condividere la nostra umanità, in tutti i suoi aspetti e momenti concreti, eccetto il peccato, e condividere quindi ogni nostro palpito pensiero gioia e dolore, sia la Pace nostra e del mondo intero.

Benedetto XVI, Omelia della Notte di Natale:
... Natale è epifania – il manifestarsi di Dio e della sua grande luce in un bambino che è nato per noi. Nato nella stalla di Betlemme, non nei palazzi dei re. Quando, nel 1223, Francesco di Assisi celebrò a Greccio il Natale con un bue e un asino e una mangiatoia piena di fieno, si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale. Francesco di Assisi ha chiamato il Natale "la festa delle feste" – più di tutte le altre solennità – e l’ha celebrato con "ineffabile premura" (2 Celano, 199: Fonti Francescane, 787). Baciava con grande devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera dei bambini, ci racconta Tommaso da Celano (ivi). 
 Per la Chiesa antica, la festa delle feste era la Pasqua: nella risurrezione, Cristo aveva sfondato le porte della morte e così aveva radicalmente cambiato il mondo: aveva creato per l’uomo un posto in Dio stesso. Ebbene, Francesco non ha cambiato, non ha voluto cambiare questa gerarchia oggettiva delle feste, l’interna struttura della fede con il suo centro nel mistero pasquale. Tuttavia, attraverso di lui e mediante il suo modo di credere è accaduto qualcosa di nuovo: Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di Gesù. 
 Questo essere uomo da parte di Dio gli si rese evidente al massimo nel momento in cui il Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria, fu avvolto in fasce e venne posto in una mangiatoia. La risurrezione presuppone l’incarnazione. Il Figlio di Dio come bambino, come vero figlio di uomo – questo toccò profondamente il cuore del Santo di Assisi, trasformando la fede in amore. "Apparvero la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini": questa frase di san Paolo acquistava così una profondità tutta nuova. Nel bambino nella stalla di Betlemme, si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo. Così l’anno liturgico ha ricevuto un secondo centro in una festa che è, anzitutto, una festa del cuore.
Tutto ciò non ha niente di sentimentalismo. Proprio nella nuova esperienza della realtà dell’umanità di Gesù si rivela il grande mistero della fede. Francesco amava Gesù, il bambino, perché in questo essere bambino gli si rese chiara l’umiltà di Dio. Dio è diventato povero. Il suo Figlio è nato nella povertà della stalla. Nel bambino Gesù, Dio si è fatto dipendente, bisognoso dell’amore di persone umane, in condizione di chiedere il loro – il nostro – amore....
Ancora Benedetto XVI, Udienza generale, 5 gennaio 2011:
..Cari amici, viviamo questo Tempo natalizio con intensità: dopo aver adorato il Figlio di Dio fatto uomo e deposto nella mangiatoia, siamo chiamati a passare all’altare del Sacrificio, dove Cristo, il Pane vivo disceso dal cielo, si offre a noi quale vero nutrimento per la vita eterna. E ciò che abbiamo veduto con i nostri occhi, alla mensa della Parola e del Pane di Vita, ciò che abbiamo contemplato, ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo fatto carne, annunciamolo con gioia al mondo e testimoniamolo generosamente con tutta la nostra vita”

Leone Magno:
...Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita.... Ricòrdati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro. Ricòrdati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo.

venerdì 23 dicembre 2011

“Continuità” e “accettazione” del Concilio: una risposta a Mons. Ocáriz

Desidero dar voce al testo di un lettore e condividerlo con tutti, perché è una interessante ulteriore analisi e valutazione della querelle che è sotto la nostra attenzione e vigilanza in questo tempo di fiduciosa attesa della composizione della vicenda che riguarda la regolarizzazione canonica della FSSPX ed anche di custodia e diffusione dell'autentica Tradizione bimillenaria - e non soltanto "conciliare" o forse anche "conciliaristica" - che con Mons. Gherardini riconosciamo come evolutiva in senso veritativo, non vivente in senso storicistico.


Il sito de L’Osservatore Romano pubblica, nelle lingue principali, un articolo di Mons. Fernando Ocáriz, Sull’adesione al concilio Vaticano II , datato 2 Dicembre. L’autore – teologo, Vicario Generale dell’Opus Dei, Consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede – si può considerare uno dei maggiori esperti “romani” del mondo tradizionalista e, quel che più importa, delle sue posizioni propriamente teologiche: ha partecipato, infatti, già ai colloqui con Mons. Léfebvre, nel 1988; è stato “Esperto Permanente” della Pontificia Commissione “ Ecclesia Dei ”; da ultimo e soprattutto, ha fatto parte della commissione bilaterale che ha condotto le discussioni dottrinali tra la Santa Sede e la Fraternità S. Pio X. Questo suo articolo, benché porti un titolo assai generico, sembra indirizzato soprattutto ai tradizionalisti, nell’intento di chiarire l’esito di tali discussioni: il Preambolo Dottrinale presentato alla S. Pio X e, in particolare, l’ambito di “ libera discussione ” che verrebbe ammesso sui documenti conciliari. Naturalmente, Mons. Ocáriz scrive a titolo personale (le prese di posizione ufficiali della Santa Sede, su L’Osservatore , compaiono sempre in forma anonima, sottoscritte con tre asterischi); tuttavia, sia per le sue qualifiche personali sia per il rilievo che viene ora accordato all’articolo in parola, è ragionevole presumere che Mons. Fellay, che sembra intenzionato a chiedere chiarimenti, tra l’altro, proprio su questa “libera discussione”, si veda rispondere in termini molto simili a quelli dell’illustre teologo. 

Ma, a mio sommesso eppur allarmato avviso, la Santa Sede non può far propria la posizione di Mons. Ocáriz senza smentire sé stessa. Mi spiego meglio. 

Molto opportunamente, l’articolo rammenta, in esordio, che il Concilio è stato, sì, “pastorale” e che perciò non ha formulato definizioni dogmatiche, ma, nondimeno, ha approvato documenti di carattere magisteriale, dunque vincolanti. Distingue, poi, i gradi di autorevolezza di questo Magistero, in termini che, a mio avviso, presentano più di una somiglianza con i “quattro livelli” individuati da Mons. Gherardini nel suo Il discorso mancato ; se ne discosta, però, proprio sul punto decisivo, ossia laddove riconosce alle “innovazioni” conciliari il carattere di Magistero autentico, che esige, perciò, « ossequio religioso della volontà e dell’intelletto »; la “libera discussione” riguarda, perciò, non il se , ma il come si concilino con il Magistero anteriore e la Tradizione. Mettere in dubbio il se a proposito di un Concilio – si desume dal tenore dell’articolo – significherebbe dubitare dell’unità della Fede, dell’identità della Chiesa e della Sua indefettibilità (eloquente, in tal senso, il richiamo alla Dichiarazione Mysterium Ecclesiae). 

Ora, senza nulla togliere all’importanza e alla gravità del problema – la possibilità di ammettere errori, a qualsiasi titolo, nell’insegnamento di un Concilio Ecumenico – mi sembra che la conclusione di Mons. Ocáriz finisca contraddire proprio quella distinzione da cui, saggiamente, era partito: il Magistero autentico, infatti, non richiede l’assenso di Fede proprio perché non è assistito dalla garanzia divina dell’infallibilità. Egli si rifà all’Istruzione Donum Veritatis sulla vocazione ecclesiale del teologo, un vero gioiello, uno dei migliori documenti firmati dal Card. Ratzinger come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; sembra, però, dimenticarne i nn. 28-29, dove – con un atto che, secondo l’Istruzione stessa (n. 18), rientra nel Magistero ordinario del Successore di Pietro – la Santa Sede ammette che un teologo possa trovare inaccettabile un insegnamento del Magistero autentico, anzi, considera il suo dissenso un potenziale fattore di progresso del Magistero stesso, e perciò lo esorta a sottoporre le proprie ragioni alla Congregazione per la Dottrina della Fede (evitando le polemiche pubbliche). 

Non sono previste eccezioni o restrizioni per il dissenso dal Magistero autentico del Concilio. 

Certo, la Donum Veritatis è stata scritta per rispondere ai “teologi del dissenso” (e non esita a dichiarare, tra l’altro, che il loro metodo li porta a smettere di fare teologia); ma questo non mi sembra affatto un problema. E’ vero, infatti, che formalmente essi non contestano il Concilio, anzi vi si appellano sempre; nei fatti, però, dissentono dal concetto stesso di Magistero - quindi, implicitamente, dalla mens di tutto il Concilio e da LG 25 - nonché da parecchi asserti conciliari, come la riaffermazione dell’indissolubilità del Matrimonio o la condanna di aborto e infanticidio. 

Dirò di più: anche nei Concili dogmatici, infallibilità e assenso di Fede riguardano i canoni e il tenore della definizione dogmatica, non le argomentazioni con cui questa è giustificata [Cfr. Enciclopedia Cattolica , s.v. Tradizione ]. Ora, nel Vaticano II abbiamo solo argomenti: vorremmo dunque attribuire ad essi un’autorità che non possederebbero neppure se il Concilio avesse definito dogmi ad ogni passo? E che sarebbe del principio per cui l’autorità dei documenti del Magistero è quella che i Pastori possiedono e che intendono esercitare ? E non è tutto. 

Nel 1988, quando Mons. Léfebvre firmò il famoso Protocollo, sottoscrisse anche il punto 3) della prima parte: 
"A proposito di certi punti insegnati dal Concilio Vaticano II o relativi alle riforme posteriori della liturgia e del diritto, che ci sembrano difficilmente conciliabili con la Tradizione, ci impegniamo ad assumere un atteggiamento positivo e di comunicazione con la Sede Apostolica, evitando ogni polemica."
La Santa Sede, quindi, non gli impose affatto di dirsi fiducioso – nè tampoco certo – che, discuti discuti, una tal conciliazione sarebbe, infine, riuscita, ma soltanto di impegnarsi a sollevare le proprie obiezioni in spirito di carità, rimettendosi al giudizio finale del Magistero [il che è implicito nell'adesione a LG 25, espressa al precedente punto 2)]. Questo Protocollo è stato poi recepito nel m.p. “ Ecclesia Dei ” [n. 6, lett. a)] ed è la base su cui sono stati organizzati gli Istituti che dipendono dalla Pontificia Commissione: la sua innegabile apertura ad un dissenso sul se , ad una libera discussione non limitata al come , fa parte del diritto canonico [e, sia detto per inciso, getta una nuova luce sull’appello del medesimo m.p., n. 5 lett. b), ai teologi, affinché rinnovino gli sforzi per mettere in luce la continuità del Concilio]. Non sorprende, dunque, che, allora, molti abbiano lamentato che si concedesse a Léfebvre quel “diritto al dissenso” sempre negato ai liberal. E si potrebbe rincarare la dose: gli Statuti dell'Istituto del Buon Pastore, approvati nel 2006, dotati anch'essi di forza di legge, riconoscono ai suoi membri il diritto ad una "critica seria e costruttiva" del Concilio. Più chiaro di così...

Cosa dovremmo dire, quindi? Che la Santa Sede ha riconosciuto un “diritto all’errore”? Perché di questo stiamo parlando, questo è, secondo il ragionamento di Mons. Ocáriz, il dubbio sulla possibilità di conciliare le novità con la Tradizione.

No di certo. Nessuna legge, men che meno la canonica, potrebbe accordar tutela all’errore. E non si tratta neppure di “tolleranza”, nel senso Cattolico: nulla, nel testo, depone in tal senso. Il tenore del Protocollo si spiega solo se ammettiamo che gli argomenti contro le innovazioni conciliari siano tali da guadagnarsi l’assenso di un uomo prudente; che si qualifichino, cioè, non come errori, ma come opinioni probabili . Da ciò derivano due conseguenze: l’ obiettiva incertezza sul senso complessivo del Concilio e il carattere vincolante di taluni suoi asserti (che perciò stesso non obbligano : lex incerta nequit certam inducere obligationem ); la piena legittimità di una discussione in merito, ferme restando, naturalmente, la carità e la sottomissione al Magistero.

Questo, senza dubbio, su alcuni punti è intervenuto in senso chiarificatore (p.es., la controversa nozione di Chiesa che troviamo in LG 1 è spiegata dal Catechismo della Chiesa Cattolica in termini che trovo del tutto soddisfacenti); tuttavia, ad oggi il nocciolo della controversia non è stato affrontato né tantomeno risolto. Perciò, non avrebbe senso, oggi, negare quel che si è accordato nel 1988 e, per giunta, ribadito solo nel 2006. Ma aggiungerei un ultimo punto, non meno importante: l’atto magisteriale, meglio se definitivo, definitorio e infallibile, che dichiarasse, ad es., che la Dignitatis Humanae non contraddice la dottrina dello Stato Cattolico e risolvesse, punto per punto, tutti i dubbi sollevati in proposito dovrebbe riconoscere – almeno implicitamente – che la Dichiarazione conciliare presta il fianco a censure teologiche severe. Se non per la sostanza, almeno per la forma in cui è redatta; perché nessuno, io credo, vorrà negare che, ictu oculi, il senso del testo sia quello liberale e modernista. In altri termini: nel momento in cui i dubbi sulla continuità assurgono ad opinioni probabili, evidentemente ci sono difetti seri nei testi del Concilio. Almeno nella forma, e fors’anche nella sostanza. Questo, a mio parere, l’ambito in cui dovrebbe esercitarsi la benvenuta “libera discussione”.
 Savona, lì 5 Dicembre 2011
Guido Ferro Canale